Inserito il 10/03/2009 alle: 01:01:00
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Francesco SOMMELLA - Presidente -
Dott. Ernesto LUPO - Consigliere -
Dott. Michele LO PIANO - Consigliere -
Dott. Francesco TRIFONE - Consigliere -
Dott. Alfonso AMATUCCI - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente SENTENZA [n. 6474, ndr]
sul ricorso proposto da:
ESPOSITO MASSIMO, domiciliato in ROMA presso LA CORTE DI CASSAZIONE, difeso dall'avvocato SEQUI MARCELLO con studio in 09170 ORISTANO VIA CANALIS 16, che lo difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
PREFETTO DI SASSARI, MINISTERO DELL'INTERNO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 158/97 del Pretore di SASSARI, emessa il 09/04/97 e depositata il 22/05/97 (R.G. 2490/96);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/02/00 dal Consigliere Dott. Alfonso AMATUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 158/97 il pretore di Sassari ha rigettato l'opposizione di Massimo Esposito avverso l'ordinanza ingiunzione del prefetto di Sassari in data 8.11.1996 con la quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di L. 1.080.000 per la violazione di cui all'art. 142, comma 9, del codice della strada per aver superato di oltre 40 km/h (66) il limite massimo di velocità previsto in 50 km/h, secondo quanto immediatamente contestatogli dagli agenti operanti a seguito di rilevamento a mezzo di apparecchiatura autovelox.
Ha ritenuto il pretore:
a) che, benché il cartello stradale recante il limite di velocità fosse privo delle indicazioni di cui all'art. 77 del regolamento di attuazione del codice della strada, non di meno la scritta "ANAS" ed il marchio del costruttore valevano ad escludere che potesse trattarsi di un cartello abusivamente apposto;
b) che era da considerarsi del tutto regolare la immediata contestazione della violazione effettuata dall'agente che aveva intimato l'arresto al veicolo dopo essere stato avvertito via radio della violazione dai colleghi che, qualche centinaio di metri prima, avevano rilevato la velocità tramite l'apparecchio elettronico.
Ha, infine, rilevato che l'Esposito non aveva affermato di aver marciato a velocità inferiore a quella contestatagli.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione l'Esposito affidandosi a due motivi.
Motivi della decisione
1.1. Col primo motivo è dedotta "violazione di legge (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.); violazione degli artt. 13, 14 e 23, l. 24.11.1981, n. 689 in relazione all'art. 194 c.d.s., in combinato disposto con gli artt. 200 e 201 c.d.s., 383, 384 e 385 reg. c.d.s.".
Assume in sostanza il ricorrente che, essendo stata la violazione accertata dagli agenti che operavano nel punto dov'era collocato l'autovelox, essa non avrebbe potuto essere contestata dall'agente che si trovava settecento metri più avanti (sicché sarebbe stato necessario procedere alla successiva notificazione del verbale) in quanto il trasgressore sarebbe altrimenti privato "di quel minimo di garanzia che è costituito dalla possibilità di individuazione del soggetto che gli attribuisce la violazione e dalla possibilità di difendersi e contrastare, a mezzo delle dichiarazioni rese a verbale, un'eventuale erroneità dell'accertamento, che il contraddittorio immediato col soggetto accertatore può rendere manifesta.
1.2. La censura è infondata.
Premesso che la successiva notificazione della violazione a mente dell'art. 201 c.d.s. certo non sarebbe valsa ad offrire quelle garanzie di cui il trasgressore sostiene di essere stato privato, sicché la doglianza è sotto tale aspetto intrinsecamente contraddittoria, è affatto erronea la premessa dalla quale il ricorrente muove che "l'atto di accertamento è del tutto autonomo e distinto dalla contestazione sotto il profilo formale", sicché sarebbe stato a suo avviso necessario un verbale di accertamento, da redigere dagli stessi agenti che avevano rilevato l'eccesso di velocità e non anche da quello che ne aveva avuto notizia via radio e che aveva (dopo talune decine di secondi) contestato la violazione.
Gli agenti preposti all'uso della macchina avrebbero insomma dovuto verbalizzare immediatamente quanto erano stati in condizione di accertare (passaggio ad una determinata velocità, immediatamente rilevata dall'autovelox) ed avrebbero dovuto, altresì, dare atto in tale verbale dell'impossibilità di procedere a contestazione immediata.
Va in contrario osservato che nel sistema costituito dall'art. 200 del codice della strada approvato con decreto legislativo n. 200/85 [così nel testo, ndr] e dall'art. 383 del relativo regolamento di esecuzione e di attuazione approvato con d.P.R. n. 495/92 l'accertamento è attestato dallo stesso verbale col quale si dà atto dell'avvenuta contestazione e non è richiesta la redazione di due distinti documenti.
Posto, invero che per "accertamento" della violazione del codice della strada si intende il compimento di tutte le attività necessarie per affermarne il dato storico, non è necessaria la differenziazione formale dei momenti dell'accertamento e della contestazione, non richiedendo alcuna norma la necessità della predisposizione di un documento attestante l'acclaramento dei fatti distinto dal verbale col quale si dà atto che quei fatti, integranti la violazione, sono stati contestati al trasgressore.
É poi del tutto irrilevante che l'agente che abbia redatto il verbale di accertamento e di contestazione immediata sia persona fisica diversa dall'agente (nella specie appartenente allo stesso "organo accertatore") che aveva visivamente rilevato la violazione di eccesso di velocità tramite autovelox pochi secondi prima che il veicolo fosse poi fermato dal collega avvertito via radio, non valendo tale inevitabile ritardo ad elidere la possibilità del trasgressore di far inserire a verbale le proprie eventuali dichiarazioni (com'era nella specie puntualmente accaduto).
2.1. Col secondo motivo viene denunciata violazione dell'art. 77, comma 7, del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione per avere il pretore ritenuto irrilevante la mancanza, sul retro del segnale stradale che prescriveva il limite di velocità, di gran parte delle indicazioni obbligatorie prescritte dalla indicata disposizione, erroneamente opinando che la scritta "ANAS" ed il marchio della ditta che aveva fabbricato il segnale fossero sufficienti "per escludere che potesse trattarsi di un cartello abusivamente apposto".
Sostiene che, non essendo provata la legalità della prescrizione segnaletica, neppure risultava provata la responsabilità dell'Esposito.
2.2. Anche tale censura è infondata.
Il pretore, con accertamento di fatto niente affatto illogico, ha ritenuto che il cartello fosse autentico.
Il ricorrente non assume che, in ragione della insufficienza delle indicazioni (sul retro) del segnale, egli non avesse potuto cogliere il contenuto della prescrizione (regolarmente raffigurata sul davanti), al cui rispetto era dunque tenuto, non essendo dall'art. 77, comma 7. reg. c.d.s. previsto che la omissione delle indicazioni formali dalla stessa disposizione contemplate esima l'utente della strada dall'obbligo di rispettare la prescrizione espressa dal segnale.
Quelle indicazioni hanno infatti lo scopo di consentire agli stessi organi della pubblica amministrazione di controllare la regolarità della fabbricazione e della collocazione del segnale; e di rimuovere quelli apposti da soggetti che siano privi del relativo potere o che lo abbiano esercitato in violazione delle disposizioni che ne fissano le modalità di esercizio.
3. Il ricorso va conclusivamente rigettato.id="blue">
Non avendo l'intimato prefetto svolto attività difensiva, non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso.
Roma, 1 febbraio 2000.
Depositata in Cancelleria in data 18 maggio 2000.id="size1">