Questa non è una info, e nemmeno una gran foto. E' scura e mal presa, ma giustifica la prima parte del titolo: Che bella la Grecia.
Una cosa che può succedere solo là, una storia che ho già raccontata, una storia vera, di cui avevo bisogno per rendere reale una sensazione che temevo sogno.
Un anno passiamo da Arta, mia moglie, i miei ragazzi ed io (ma poteva essere Patra o Lamia o Tessalonica, ma era Arta). Allora passiamo da lì, di pomeriggio: cittadina morta, calda, vuota, stanca. Siamo attirati da un mercato al coperto, ormai chiuso, che osserviamo attraverso i cancelli: banchi coperti, bilance, qualche gatto sornione.
L'anno successivo ci ripassiamo, di mattina. Il mercato è vivo e allegro, una festa di colori e suoni. Prendo la macchina fotografica e scatto un paio di foto. Ma non ho il rumore, il movimento, la vivacità. Prendo la telecamera e riprendo: frutta verdura avventori e venditori, bambini donne anziani, rumori voci. Una signora si avvicina e mi chiede, in inglese, per quale motivo stavo riprendendo, se ero della televisione e mi spiega che era stata pregata da una mercante (la signora mora al centro della foto) ad indagare. Ci avviciniamo, io e la mia interprete improvvisata, alla mercante in questione e le spiego che riprendo tutto questo per ricordare in qualche modo i colori e il calore della Grecia durante il nostro lungo inverno. Ci scambiamo altre battute calorose e poi s’allontana, prende un sacchetto, ci mette dentro qualche pomodoro, cipolla, cetriolo e me lo regala. Nel frattempo s’avvicina un altro mercante, venditore di piantine: mi racconta di suo figlio medico a Pescara, un altro della sua vita da marinaio; mi danno delle piantine di basilico.
Dopo due o tre anni ci ripasso, io e mio figlio. Mi fermo al banco della signora, acquisto un po’ di basilico, origano in polvere, verdure. Non mi riconosce, forse perché di gente ne vede tanta, lavora a testa bassa. Faccio per andarmene, ma non resisto. Non c’è l’interprete e non ho nemmeno la macchina fotografica. Cerco di spiegarmi. Lei mi guarda un po’ sospettosa, guarda mio figlio. Poi il viso le s’illumina, sorride, mi prende le mani, si commuove. E’ felice che io, noi, ci siamo ricordati di lei e che siamo passati di lì per salutarla. La gioia è reciproca e ci avvolge, i passanti si fermano, chiedono, lei risponde (chissà cosa?). Ci lasciamo, non senza aver accettato il suo piccolo grande dono che non sono solo altri due pomodori, un po’ di verdura, ma l’aver scoperto un grande cuore e sensibilità per il viaggiatore, l’ospite, anche se ignoto, che ritorna.
Io vado in Grecia anche, anzi, soprattutto, per queste sciocchezze, che sia Arta, Lamia, Larissa…..
Saluti.
Modificato da pilao il 21/11/2008 alle 23:00:17